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Cappella del Santissimo Sacramento

San Michele Arcangelo
Santissimo Sacramento
Gesù Misericordioso

 

Nel braccio sinistro del transetto si offre al cuore del credente l’altare del Santissimo Sacramento, gratificato dalla tela dell’ultima Cena. E’ opera dell’architetto Francesco Milanese di Muro Leccese, come testimonia un’iscrizione posta sul retro del dipinto centrale, risalente alla metà del XVIII secolo. Accreditata da quest’altare, l’omonima Arciconfraternita fu fondata, a devozione dell’università, nel 1570 ed esibitasi nel 1830. Davanti ad esso, c’erano tre sepolture per seppellire i confratelli. Nel verbale della visita pastorale del 1693 del vescovo Michele Pignatelli è infatti scritto, tra le altre cose: “In quo est erecta Sodalitas Sanctissimi Sacramentiante ipsum exant tres sepulturae pro humandis confratribus”. L’altare è adorno di una tela raffigurante l’Ultima Cena, attribuita al Servo di Dio Ingrosso e collocabile intorno alla metà del XVIII secolo. L’opera (olio su tela di cm. 376 x 255), che ha anche evidenti rimandi all’affresco del pittore Livio Agresti, collocato nell’oratorio del Gonfalone di Roma, risalente al periodo 1569 -1575, ha subito due restauri, nel 1765 e nel 1969. Il dipinto raffigura Gesù, seduto al centro di un grande tavolo imbandito, intento a distribuire il cibo mentre accarezza la testa di San Giovanni. Gli altri apostoli, seduti intorno, conversano distrattamente, tranne Giuda, raffigurato in primo piano, che indica la scena e stringe nella mano la borsa dei trenta denari. Ai suoi piedi, una presenza metaforica: un cagnolino, simbolo di fedeltà. Sullo sfondo, tra sei colonne tortili, una lunga scalinata immette in un altro ambiente, dov’è raffigurato l’episodio della lavanda dei piedi.

Nella parete sinistra (ex altare di San Michele Arcangelo) sono collocati tre dipinti. Al centro, un olio su tela (di cm. 211 x 137), realizzato da autore ignoto, nella seconda metà del XVIII secolo. Rappresenta l’Arcangelo Michele che sconfigge i Demoni raffigurato in tutta la sua potente bellezza, vestito come un guerriero romano, simbolo della sovranità divina, con le ali aperte in una fitta nuvolaglia, nell’atto di scagliare sulle forze del male – raffigurate di scorcio, ai suoi piedi – la saetta che stringe nella mano destra. In alto, gruppi di piccoli putti assistono alla scena. Il dipinto denuncia strette corrispondenze stilistiche con il San Vito Martire e la Pietà ai piedi della Croce, collocati nella Chiesa di San Giovanni Battista di Squinzano; dove, peraltro, era attestata la presenza di un altare dedicato al Santo. Si è supposta anche la paternità, conferendola a Simon Papa senior, autore del Sant’Antonio da Padova collocato nel cappellone della Madonna del Rosario e dell’immacolata Concezione, attualmente collocata nella sagrestia. L’opera ricorda l’analogo soggetto realizzato da Guido Reni nel 1626 circa per la chiesa romana di Santa Maria della Concezione.

Ai lati del suddetto dipinto sono collocati due ovali. A sinistra, un olio su tela (di cm. 117 x 80), di autore ignoto, raffigurante il Commiato dell’Arcangelo Raffaele da Tobia, realizzato nella seconda metà del XVIII secolo. La scena è raffigurata in un atrio: al centro, in piedi, l’Arcangelo Raffaele, alato e vestito con una tunica verde, avvolto in uno svolazzante mantello; stringe nella mano sinistra una lunga lancia e rivolge lo sguardo a Tobia, chino con Tobiolo ai piedi del guaritore. Sullo sfondo, un’alta massiccia costruzione. In questo dipinto l’artista ha voluto ricordare l’Arcangelo dell’Antico Testamento, guaritore di Tobia e protettore del figlio Tobiolo. L’opera anticipa la trasformazione iconografica del Santo, non più rappresentato nel ruolo di medico pellegrino bensì in quello di angelo custode.

A destra, è collocato un altro ovale (olio su tela cm. 116 x 80), di autore ignoto, che raffigura la visione del Profeta Daniele. Un angelo, librato in volo, avvolto da un ampio mantello svolazzante, color porpora, a torso nudo, con l’indice della mano destra rivolto al Cielo, mentre poggia la sinistra sul profeta Daniele. Quest’ultimo è raffigurato seduto con le mani intrecciate al ginocchio, intento ad ascoltare la parola del nunzio celeste. In basso, a sinistra, presente alla scena, la biblica belva, simbolo di uno dei quattro Imperi. Il dipinto, che completa il ciclo pittorico dedicato agli Arcangeli, denuncia forti assonanze con quello di Tiso, raffigurante Agar nel deserto, collocato nell’ex Convitto Nazionale “Palmieri” a Lecce.

visita di Maria a Santa Elisabetta Nella parete destra del cappellone, ex altare dell’immacolata Concezione, eretto a spese del chierico Antonio di Fabrizio Manca, al quale fu concessa presso di esso una sepoltura in una nicchia è collocata la statua del Sacro Cuore di Gesù. Dalla visita pastorale del 1698 del vescovo Fabrizio Pignatelli risulta che il chierico si interessò di collocare, all’interno di due colonne bel scolpite, un’icona della Beatissima Vergine, sopra la quale si vedeva l’immagine del Padre Eterno. Ai lati della nicchia, sono collocati due ovali, dipinti a olio; il primo, a sinistra, esprime la presentazione di Gesù al Tempio, il secondo, a destra, la visita di Maria a Santa Elisabetta. Davanti alla nicchia è attualmente posta la statua del Sacro Cuore di Maria.

presentazione di Gesù al Tempio

L’ovale della presentazione di Gesù al Tempio (olio su tela di cm 117 x 80), realizzato da autore ignoto, nel 1659, rappresenta una scena ambientata in un interno, dove sono presenti alcuni fedeli. Al centro, su una mensa d’altare, un sacerdote barbuto, dai sontuosi paramenti, sostiene il Bambin Gesù, raffigurato con le braccia aperte e  seminudo. La Vergine Maria, in ginocchio, con le mani giunte in preghiera, coperta da un mantello, assiste alla scena. Sulla tela in basso, a sinistra, si legge una frase dipinta: Almae Dei Mari / Semperque Virgini / Mariae / Primigeniae Tabis / Experti / Sacellum Hoc / A CI00 Ant. 0 Manca prius / ere (et) um modo / R.ndus D.Petrus Ferrari / Decentiori forma (e) aptatum (…) DDD (“Questo tempietto eretto prima dal Chierico Antonio Manca in onore della Veneranda Madre di Dio e sempre Vergine Maria priva di peccato originale, ora il Reverendo Don Pietro Ferrari … reso più elegante … Dedicato al Signore Iddio”).

Nell’ovale della visita di Maria a Santa Elisabetta (olio su tela di cm. 117 x 82, realizzato da autore ignoto, nel 1659), le due donne sono raffigurate in piedi, al centro del dipinto, nell’atto del commiato. Maria, a sinistra, evidentemente gravida, rivolge lo sguardo, porgendo la mano destra all’attempata Elisabetta, che cordialmente ricambia; alle loro spalle, Zaccaria e Giuseppe, appoggiato all’inseparabile bastone di pellegrino.

La statua del Sacro Cuore di Gesù, realizzata in cartapesta gessata e dipinta (misure cm. 180 x 97 x 70), collocata nella nicchia, è opera attribuita all’artista cartapestaio leccese Giuseppe Manzo (1849 – 1942), fatta eseguire, a devozione, da Rosina Briamo, così com’è scritto su una targa metallica posta sulla statua. Cristo è raffigurato in piedi su una nuvola, indossa una tunica bianca bordata oro e un ampio mantello azzurro con fregi e bordi dorati. La folta barba e i lunghi capelli, che gli incorniciano il volto, le mani aperte e protese avanti gli conferiscono un atteggiamento misericordioso. Sul petto reca un cuore raggiato, contornato di spine e sormontato da una fiamma e una croce. Due angioletti, posti ai piedi, reggono lo stemma civico.

La statua del Sacro Cuore di Maria, provvisoriamente posta davanti alla nicchia, realizzata in cartapesta gessata e dipinta (misure cm. 140 x 60 x 55), è stata realizzata da autore ignoto, nella prima metà del XIX secolo. La Vergine è raffigurata su ampie volute di nuvole, veste un abito, riccamente ornato da motivi floreali e legato in vita da una sottile cintola dorata. Un ampio mantello azzurro, bordato oro, le copre le spalle. Il viso è contornato dai folti capelli, raccolti alla nuca, ed ha sul capo un velo bianco dall’orlo ricamato. Con il dito della mano sinistra indica il Sacro Cuore, raggiato oro e sormontato da un’ardente fiammella. Ai suoi piedi, una coppia di angioletti le rivolgono lo sguardo. Qualche storico locale attribuisce l’opera a Eugenio Maccagnani per la somiglianza dell’opera, nella cura dei particolari e con l’espressione, con quelle della Cappella della Misericordia di San Pancrazio Salentino, attribuita all’artista salentino, raffigurante la Madonna del Miracolo Orante.

[ Credits ]

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